Un esordio di estrema carica innovativa da riscoprire appieno
Una delle incursioni più dense e personale nel difficile tema della follia
Nel novero del lancio di giovani autori che la Titanus promuove all’inizio degli anni ’60 (e che ha fatto conoscere internazionalmente nomi del calibro di Ermanno Olmi, Vittorio De Seta e Valerio Zurlini), Alfredo Giannetti (già sceneggiatore di Elio Petri) non è riuscito a ritagliarsi un posto di primo piano. Riguardando questo suo esordio alla regia, appare urgente la necessità di una riscoperta. Si tratta di una delle incursioni più dense e personali nel tema della follia, inserita in un contesto di miseria urbana che insiste sul cinico voyeurismo dei “sani” e affonda il coltello nella crisi del modello familiare. L’intera squadra di attori assicura una recitazione di grande intensità, su tutti Tomas Milian, nei panni del giovane disturbato. Scrive la storica Stefania Parigi, per sottolineare l’originalità del film: “Lo sguardo del regista non si immedesima che raramente nelle visioni del folle, concentrandosi al contrario sulle reazioni dei personaggi che entrano in contatto con le sofferenze, la furia e l’inermità del malato”.
Un giovane affetto da turbe psichiche vive in un caseggiato popolare con la famiglia. Per chi gli è vicino, la situazione diventa insostenibile. Dopo l’ennesimo ricovero in manicomio, la madre decide di portarlo in una casa di cura a Vienna. Ma le crisi del giovane non si placano, e la tragedia è in agguato.