Un film spiazzante e senza compromessi, da uno degli autori più controversi del cinema italiano
Emigrazione, lavoro in fabbrica, vuoto giovanile e spirali di droga in un racconto che non cerca facili risposte e assoluzioni
Pasquale Squitieri non ha mai amato le soluzioni semplici. Forse per questo il suo cinema è costantemente oggetto di controversie. Razza selvaggia non fa eccezione. Il film affronta una materia tematicamente vulcanica: l’emigrazione meridionale al Nord e le difficoltà di integrazione in un tessuto urbano che continua ad apparire alieno; il lavoro in fabbrica come causa di depressione esistenziale e la fine della solidarietà operaia; il vuoto giovanile accompagnato a un azzeramento degli ideali; la chimera della ricchezza guadagnata ad ogni costo e consumata senza costrutto; la spirale della droga e la morte come approdo quasi obbligato. Squitieri non assolve nessuno, non fornisce soluzioni consolatorie, non ricorre a letture sociologiche e a teorie politiche per spiegare una tesi. Coi toni del poliziesco e le incalzanti percussioni di Tullio De Piscopo a fare da tappeto sonoro, Razza selvaggia è per scelta un film spiazzante e allergico ai compromessi.
Mario, originario di un paese nel salernitano, fa l’operaio a Torino. Ma questa vita non lo appaga. Fa la conoscenza di gestore di un night club equivoco ed entra in una girandola pericolosa di droga e malavita.