IL SOLE NEGLI OCCHI

IL SOLE NEGLI OCCHI

Regia di

Antonio Pietrangeli

Anno

1953

Genere

Drammatico

Categoria

Cinema


sinossi

Uno degli esordi più maturi, convincenti e personali del cinema del dopoguerra

Pietrangeli tratteggia il primo dei suoi splendidi e complessi ritratti femminili

Il sole negli occhi è uno degli esordi più convincenti del cinema italiano del dopoguerra: “Non è difficile riconoscere al regista già tutta l’autorità e la sicurezza di un’esperienza matura”, scriveva il critico Gian Luigi Rondi all’uscita del film. Antonio Pietrangeli costruisce un racconto di ammirevole intensità, che tiene uniti un originale tono meditativo, abili tocchi di commedia, e una capacità di dettaglio quasi documentaristica che ci fa sentire vicinissima la realtà delle servette in questa Roma minore e periferica. Senza costruire sermoni, mette in scena un quadro di grande precisione sociale, sfibrato da un inurbamento coatto, dallo sfruttamento del lavoro e dalla solitudine. Soprattutto, il film già ci dimostra appieno la sensibilità unica di Pietrangeli nel tratteggio di ritratti femminili indelebili: la Celestina del Sole negli occhi, al tempo stesso così smarrita e così caparbia, non sfigura affatto a fianco delle ragazze splendide e complesse che popoleranno il suo cinema successivo, da Io la conoscevo bene a Adua e le compagne.

La giovane Celestina lascia per la prima volta in vita sua il paesello per fare la servetta a Roma. In seguito a svariate vicissitudini, è costretta più volte a cambiare casa e padroni. Le resta però l’amicizia di Marcella, che fa il suo stesso lavoro, e l’amore per l’idraulico Fernando, che la mette incinta. Ma quando Celestina torna da una trasferta in villeggiatura coi suoi padroni, trova il ragazzo maritato con un’altra. Dopo aver tentato il suicidio, decide di non dare retta alle richieste di perdono di Fernando e di avviare una nuova vita, lei e il suo bambino.

Uno degli esordi più maturi, convincenti e personali del cinema del dopoguerra

Pietrangeli tratteggia il primo dei suoi splendidi e complessi ritratti femminili

Il sole negli occhi è uno degli esordi più convincenti del cinema italiano del dopoguerra: “Non è difficile riconoscere al regista già tutta l’autorità e la sicurezza di un’esperienza matura”, scriveva il critico Gian Luigi Rondi all’uscita del film. Antonio Pietrangeli costruisce un racconto di ammirevole intensità, che tiene uniti un originale tono meditativo, abili tocchi di commedia, e una capacità di dettaglio quasi documentaristica che ci fa sentire vicinissima la realtà delle servette in questa Roma minore e periferica. Senza costruire sermoni, mette in scena un quadro di grande precisione sociale, sfibrato da un inurbamento coatto, dallo sfruttamento del lavoro e dalla solitudine. Soprattutto, il film già ci dimostra appieno la sensibilità unica di Pietrangeli nel tratteggio di ritratti femminili indelebili: la Celestina del Sole negli occhi, al tempo stesso così smarrita e così caparbia, non sfigura affatto a fianco delle ragazze splendide e complesse che popoleranno il suo cinema successivo, da Io la conoscevo bene a Adua e le compagne.

La giovane Celestina lascia per la prima volta in vita sua il paesello per fare la servetta a Roma. In seguito a svariate vicissitudini, è costretta più volte a cambiare casa e padroni. Le resta però l’amicizia di Marcella, che fa il suo stesso lavoro, e l’amore per l’idraulico Fernando, che la mette incinta. Ma quando Celestina torna da una trasferta in villeggiatura coi suoi padroni, trova il ragazzo maritato con un’altra. Dopo aver tentato il suicidio, decide di non dare retta alle richieste di perdono di Fernando e di avviare una nuova vita, lei e il suo bambino.


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