Uno sguardo inedito, scomodo e affascinante sulla Resistenza italiana
Gianfranco De Bosio e Luigi Squarzina, protagonisti del teatro italiano del Novecento, rinunciano alle facili celebrazioni e scavano nella Storia con un rigore espressivo unico
Gian Maria Volonté in un’altra grande interpretazione che sfida l’ovvio, affiancato da una giovanissima Raffaella Carrà
Opera scomoda, per molti motivi. E affascinante, per le stesse ragioni. Il terrorista può essere definito un film sulla Resistenza, non fosse che si ostina a sfuggire a qualsiasi definizione netta. La Resistenza mostrata nel film rifugge da qualsiasi tentazione epica, retorica, facilmente celebrativa: la ribellione contro il nazifascismo non ci è mostrata come un movimento compatto, ma come un terreno di tensione tra guerriglia anarchica e calcolo politico. Le azioni partigiane si svolgono sullo sfondo della Venezia repubblichina occupata dai fascisti (pagina molto poco frequentata dal cinema italiano), ricostruita in modo da restituire un clima grigio e soffocante. La lotta contro la dittatura assume una forma inedita, attraversata da una costante messa in discussione del pensiero unico e sospinta verso terreni inattesi da una messa in scena che evidenzia un rigore espressivo raro. Gianfranco De Bosio (ex partigiano) è uno dei nomi più prestigiosi del teatro italiano, prestato raramente al cinema (questo è il suo debutto dietro alla macchina da presa). Sceneggia con lui Luigi Squarzina, altro protagonista indiscusso del teatro del Novecento. Accanto a Gian Maria Volonté, come sempre perfettamente in grado di sfidare l’ovvio, troviamo Raffaella Carrà, fresca diplomata del Centro Sperimentale di Cinematografia.
1943. Nella Venezia occupata dai nazifascisti, l’ingegner Renato Braschi fonda un gruppo partigiano che si fa notare per una serie di azioni dimostrative che generano forti critiche in seno al Comitato di Liberazione Nazionale. La squadra deve essere smembrata per evitare che la lotta sfugga alle strategie dettate dall’alto.