Spaghetti-western di stampo anomalo, dove l’imperativo della vendetta si fa cogliere da una serie di dubbi morali
Ispirato in parte al classicismo Il cavaliere della valle solitaria, rivela una malinconia meditabonda che il genere raramente ha frequentato
Per molti appassionati, un titolo che merita di essere riguardato e riapprezzato
Se c’è un tema che torna con costanza ossessiva nello spaghetti-western, questo è la vendetta. Servita in tutte le salse, ma più che altra sanguinaria e senza ripensamento alcuno. Le premesse di Vendo cara la pelle sembrano sposare perfettamente questa linea maestra. Ma stranamente, dopo essersi distinto per la sua abilità nel bruciare e seppellire vivi i suoi nemici, il pistolero del film incontra vedova e figlioletto e si pone il problema: se tutto questo livore fosse infine sbagliato? Complica la situazione il comportamento di una delle sue vittime designate, pentitosi dei crimini compiuti e ritiratosi a fare vita da preghiera in un convento. Con debiti evidenti nei confronti del classicissimo Il cavaliere della valle solitaria (1951), è un western che si apre alla malinconia meditabonda. Diretto da un regista noto soprattutto per i musicarelli, e splendidamente fotografato da Stelvio Massi, è per molti un film da riguardare, recuperare, rivalutare.
Un giovane pistolero ha come unico obiettivo la vendetta nei confronti dei malviventi che gli hanno massacrato la famiglia. Incontra una vedova con figlio, e rivede le sue posizioni. Ma il male se ne sta sempre in agguato, e la reazione è inevitabile.