Un folle musicarello che ripercorre le delusioni di una generazione che credeva nella rivoluzione del ’68
Un documento essenziale per riapprezzare la tradizione del cantautorato folk italiano, con alcuni dei suoi più grandi protagonisti
Giorni cantati è il ritratto sardonico, malinconico e amaro di una crisi. Sono passati dieci anni abbondanti dai sogni rivoluzionari del movimento sessantottino, e quel che ne rimane è un grumo di perplessità, delusioni e tentativi di nuovi slanci dal fiato corto. Questo stato delle cose ci è raccontato, con uno sguardo a metà strada tra sogno e realtà, da un testimone d’eccezione: Antonio Pietrangeli, che negli anni della contestazione sessantottina ha scritto brani che sono diventati inni del movimento di protesta (su tutti “Contessa”). Al suo fianco, altri esponenti importanti del cantautorato folk italiano: Francesco Guccini, Giovanna Marini, Ivan Della Mea. In un breve ruolo, Roberto Benigni è un professore frustrato dal lavoro. Le tante le canzoni di protesta riproposte dal film lo rendono un folle musicarello in salsa politico-esistenziale.
Un cantante di protesta della generazione del ’68 ripercorre mentalmente, durante un tentativo di suicidio, le fasi della propria crisi esistenziale. Per tentare di dare un senso al suo presente confuso e ritrovare la vena artistica perduta, abbandona la moglie e si installa nell’appartamento di tre giovanotti. Ma il tempo pare essere trascorso inesorabile.