Un gioiello del cinema d’avventura carico di esotismo, fantasia, ironia ed effetti speciali
Erano i tempi in cui il cinema italiano poteva permettersi di sfidare Hollywood sul terreno dell’avventura spettacolare. Se qualcuno lo proponesse oggi, verrebbe preso per matto. Il ladro di Bagdad prende a prestito Le mille e una notte per costruire una fresca, amena ed eccitante mistura di avventura, esotismo e fantasia, modellata sui classici americani con Douglas Fairbanks. Non si fa mancare la fibra muscolare assicurata da Steve Reeves, l’Ercole per antonomasia dei peplum italici. E dimostra uno spiccato senso dell’autoironia quando si lancia in momenti di puro umorismo. Gli effetti speciali aggiungono un fascino velato di nostalgia, tra mantelli dell’invisibilità, voli in groppa a Pegaso e alberi mortali che si animano di vita propria. Dirigono a quattro mani l’italiano Bruno Vailati (già fattosi valere col precedente La battaglia di Maratona) e lo statunitense Arthur Lubin, che nella sua sterminata filmografia conta anche un Alì Babà e i quaranta ladroni prodotto dalla Universal. Il ladro di Bagdad, distribuito negli USA dalla MGM, resta un gioiellino tutto da ammirare.
La principessa di Bagdad è ammalata: solo il profumo di una rosa azzurra potrà salvarla. Tra coloro che si mettono alla ricerca del portentoso rimedio, c’è anche lo scaltro Karim, ladruncolo con un cuore alla Robin Hood. Non solo riesce nell’impresa, ma sconfigge anche il perfido Omar, deciso a prendersi con la forza città e principessa. Il sultano sarà ben lieto di offrire al salvatore la mano della figlia.