Luigi Comencini è forse il regista che ha regalato al pubblico italiano i ritratti femminili più intriganti. La bugiarda lo conferma in maniera eccellente. Scrive lo storico del cinema Jean Gili: “È un film cinico sull’immaturità degli uomini e l’acutezza delle donne, sulla loro capacità di immaginare una vita amorosa che si fa beffe dei codici tradizionali e che sboccia in una specie di harem al contrario, più coerente a dire il vero dell’harem dominato dal maschio. Caterina è padrona del suo destino, si diverte a mettere in ridicolo degli uomini impantanati nelle convenzioni, nelle dicerie, nelle gelosie a pelle, negli orgogli feriti. Dal punto di vista della regia, il film è di una fluidità esemplare, facendo produrre Catherine Spaak in uno spettacolo di scaltrezza femminile e di candida seduzione”.
Caterina (ma non è il suo solo nome) è legata sentimentalmente a due uomini: un giovane dentista (il fidanzato “ufficiale”) e un aristocratico pontificio stanco del proprio matrimonio. A ognuno dei due concede tre giorni al settimana, e il settimo lo dedica a una relazione platonica con un altro giovanotto. I tre amori sono per lei la sintesi perfetta di ciò che vorrebbe da un uomo.