L’angelo bianco comincia dove finiva I figli di nessuno. Ma, tra i due film, sono passati quattro anni, e nel mezzo Matarazzo ne girerà altri sette, due dei quali con l’infallibile accoppiata Nazzari-Sanson. Poco importa: il tempo passa, ma i classici non si dimenticano. Oppure il ricordo confuso non fa altro che aumentarne la vertigine. Vertigine non lo scriviamo per caso. È il titolo originale della Donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, di tre anni successivo. Impossibile non evocare l’accostamento con L’angelo bianco. È la stessa ossessione amorosa (erotica) che torna sotto forma di doppio. Con immenso talento, Yvonne Sanson è la suora e la ballerina di music-hall, cioè le due anime del melodramma popolare che si specchiano a vicenda: redentrice e peccatrice. È incredibile come Matarazzo, con una messa in scena che sembra improntata alla più pura economia dei mezzi, riesca a consegnarci film così densi, complessi, tortuosi. Spiraliformi al punto da farci perdere la cognizione del tempo.
Guido non può perdonare la moglie Elena, per il male che ha fatto a lui e a suo figlio ai tempi dei Figli di nessuno. Chiede il divorzio. Lei fugge con la bambina, ma le due spariscono in un naufragio. Durante un viaggio in treno, Guido incontra una ballerina, Lina, sosia perfetta di Luisa, la donna che amava, che gli ha dato un figlio tragicamente perito, e che ha preso i voti e il nome di Suor Addolorata. Guido e Lina prendono a frequentarsi, lei rimane pure incinta, ma finisce dietro le sbarre per un traffico di soldi falsi. In cella è pestata a sangue dalle compagne. Il bambino comunque nasce. Guido la sposa in carcere, il giorno in cui scoppia una rivolta con tentativo d’evasione. Lina muore, le rivoltose rapiscono il piccolo, solo Suor Addolorata riuscirà a riportarlo tra le braccia del padre.