Uno degli episodi più oscuri della Rivoluzione francese in una ricostruzione storica di grande densità emotiva e intellettuale
Jeanne Moreau e Alida Valli, suore carmelitane condannate al patibolo, in una prova di grande raffinatezza interpretativa
La vicenda storica delle Martiri di Compiègne (sedici monache carmelitane scalze condannate a morte dalla Rivoluzione francese per essersi rifiutate di rinunciare al voto monastico) aveva già ispirato un racconto di Gertrud von Le Fort, un dramma di Georges Bernanos, un’opera musicale di Francis Poulenc. Il film ripropone dunque un episodio noto, già passato abbondantemente attraverso il filtro dell’arte, iniettandolo di linfa nuova. La riflessione si snoda densa, incuneata nel difficile conflitto tra due devozioni (la Fede e la Legge). Lo scavo psicologico è fermo e sofferto. La ricostruzione storica precisa nella sua essenzialità. La resa visiva solidamente efficace (del resto, il co-regista Philippe Agostini è stato un grandissimo direttore della fotografia, per Robert Bresson, Max Ophüls, Julien Duvivier…). Nel cast spiccano Jeanne Moreau e Alida Valli, che dietro la purezza e la determinazione del velo non trattengono sprazzi di strani scintillii.
Negli anni della Rivoluzione francese, le monache carmelitane del convento di clausura di Compiègne sono accusate di antipatriottismo e costrette a disperdersi in piccoli gruppi. In sedici vengono arrestate e condannate al patibolo.