Film di modernità unica, una riflessione lucida e spietata sul denaro che muove il mondo
Ugo Tognazzi al culmine della sua sublime cattiveria, Flavio Bucci della sua allucinata paranoia
Tra commedia grottesca, espressionismo e teatro brechtiano, uno dei capolavori di un grande autore del cinema mondiale
Tra i tanti film che parlano di denaro e cupidigia, è, in assoluto, uno dei più implacabili. Nella visione, al tempo stesso lucidissima e allucinata di Elio Petri, l’inseguimento del profitto è il fulcro dell’alienazione umana, un vicolo cieco che porta all’egoismo e all’invidia tra le classi, condannate allo stesso destino: alla fine, tra proletario e capitalista non c’è più alcuna differenza. Entrambi sono corrosi dalla stessa malattia, che si chiama proprietà: possedere è essere. Il discorso di Petri impregna la commedia grottesca di espressionismo e teatro brechtiano. Ne esce un universo che esplode in schegge schizofreniche. Film di modernità unica, sostenuto dalle magistrali interpretazioni di Ugo Tognazzi, al culmine della sua cattiveria, e di Flavio Bucci, al culmine della sua follia paranoica.
Un giovane impiegato di banca allergico al denaro ingaggia una battaglia contro coloro che considerano la ricchezza il fulcro della vita. Prende di mira un macellaio con il chiodo fisso per l’accumulo dei soldi, cominciando a derubarlo. Il perseguitato, dopo aver cercato invano di comprare il suo persecutore, finisce per strangolarlo.