Il film che sancisce Gloria Guida nel ruolo di reginetta della commedia sexy: forte di una malizia falsamente innocente, la giovane attrice fa la doccia volentieri, scopre le cosce fino alle mutandine salendo una scala a pioli, rimane impigliata col vestito in un autobus creando scompiglio nel centro di Bologna, scorrazza in motorino indossando generose minigonne. La commedia è ricca di equivoci gustosi, si sostiene su ritmi pimpanti, non rinuncia alle stoccate beffarde. Adolfo Celi è il giudice con baffetto alla Hitler che conduce una battaglia senza esclusione di colpi per ripristinare la moralità perduta e accumula montagne di materiale sconcio nel suo ufficio. L’onorevole Vittorio Caprioli riesce ad eccitarsi solo mentre firma, e Gloria Guida si presta per farsi vergare col pennarello il corpo nudo. Il rispettabile dottore Luciano Salce ha invece bisogno di infermiere dagli abiti succinti (e ancora una volta corre in aiuto la protagonista). Lino Banfi se ne sta più defilato: è tormentato da fame atavica e preferisce un piattone di spaghetti alle grazie della fidanzata extra-large.
L’avvenente Giorgia e la sorella sovrappeso ereditano un casale e lo trasformano in pensione. Giorgia non esita a usare l’arma della seduzione per procacciarsi clienti. Un giudice integerrimo indaga, convinto che la pensione sia un luogo di malaffare e immoralità. In effetti ci ha visto giusto, ma neanche lui può dirsi immacolato. Le sorelle riescono comunque a vendere la proprietà a un medico, che la trasformerà in clinica.