Un classico immortale della commedia italiana
Il film che ha inventato una lingua e reinventato il medioevo italiano
Nastro d’argento 1967 a Carlo di Palma per la miglior fotografia a colori, a Piero Gherardi per i migliori costumi, a Carlo Rustichelli per la miglior musica
Il medioevo cialtrone e miserando dell’Armata Brancaleone è una sorprendente riscoperta per ogni nuova generazione che ha la fortuna di incontrarlo. La documentazione storica alla base del film è notevole, ma gli autori (assieme al regista è d’obbligo menzionare gli sceneggiatori Age & Scarpelli) fan di tutto per celarla, costruendo un film di irrefrenabile vitalità, di personaggi che si sono impressi indelebilmente nella memoria collettiva, di feconda ricchezza intellettuale che tutti sono messi in condizione di apprezzare, anche se non si è letto il Don Chisciotte e si ha solo una vaga idea della Commedia dell’Arte. Da quando il film è uscito, il pubblico non ha mai smesso di ridere. Anche se a tratti, come sempre nei film migliori di Monicelli, la morte si affaccia furtiva, e un brivido ci coglie. Gassman è sublime nella parodia, in chiave più comica che eroica, della propria vena recitativa classicheggiante. Ma non sono da meno il nobile bizantino in disgrazia Gian Maria Volontè e la vergine che fa tremare le gambe Catherine Spaak. Parlano un linguaggio che è entrato nel costume italiano, tra Jacopone da Todi, il dialetto marchigiano, l’aulico, il maccheronico e il completamente inventato. Il ritornello “Branca Branca Branca, Leon Leon Leon!” è una delle canzoni italiane più cantate di sempre.
In un’Italia medievale famelica e stracciata, il tronfio Brancaleone vaga al comando di una sparuta armata di miserandi. Salva fanciulle ma non ne approfitta, scampa per un pelo alle ire dei bizantini, si batte contro i saraceni ma per poco non finisce impalato. Lo salva il monaco Zenone, che lo porta con sé in Terra Santa, dove l’aspetta una crociata.
sinossi
Un classico immortale della commedia italiana
Il film che ha inventato una lingua e reinventato il medioevo italiano
Nastro d’argento 1967 a Carlo di Palma per la miglior fotografia a colori, a Piero Gherardi per i migliori costumi, a Carlo Rustichelli per la miglior musica
Il medioevo cialtrone e miserando dell’Armata Brancaleone è una sorprendente riscoperta per ogni nuova generazione che ha la fortuna di incontrarlo. La documentazione storica alla base del film è notevole, ma gli autori (assieme al regista è d’obbligo menzionare gli sceneggiatori Age & Scarpelli) fan di tutto per celarla, costruendo un film di irrefrenabile vitalità, di personaggi che si sono impressi indelebilmente nella memoria collettiva, di feconda ricchezza intellettuale che tutti sono messi in condizione di apprezzare, anche se non si è letto il Don Chisciotte e si ha solo una vaga idea della Commedia dell’Arte. Da quando il film è uscito, il pubblico non ha mai smesso di ridere. Anche se a tratti, come sempre nei film migliori di Monicelli, la morte si affaccia furtiva, e un brivido ci coglie. Gassman è sublime nella parodia, in chiave più comica che eroica, della propria vena recitativa classicheggiante. Ma non sono da meno il nobile bizantino in disgrazia Gian Maria Volontè e la vergine che fa tremare le gambe Catherine Spaak. Parlano un linguaggio che è entrato nel costume italiano, tra Jacopone da Todi, il dialetto marchigiano, l’aulico, il maccheronico e il completamente inventato. Il ritornello “Branca Branca Branca, Leon Leon Leon!” è una delle canzoni italiane più cantate di sempre.
In un’Italia medievale famelica e stracciata, il tronfio Brancaleone vaga al comando di una sparuta armata di miserandi. Salva fanciulle ma non ne approfitta, scampa per un pelo alle ire dei bizantini, si batte contro i saraceni ma per poco non finisce impalato. Lo salva il monaco Zenone, che lo porta con sé in Terra Santa, dove l’aspetta una crociata.