Una pregevole ricostruzione d’epoca tra dramma e commedia nell’America di fine Ottocento, terra promessa degli emigrati italiani
Adriano Celentano in una delle sue prove più complesse, porta tutto il suo istinto e il suo carisma nei panni del guaglione napoletano
Dalla farsa alla tragedia, dal genere comico a quello gangsteristico, dai toni plumbei di una New York respingente agli sfavillii del cabaret: L’emigrante riesce a toccare un ventaglio ricchissimo di sfumature senza mai perdere il filo. Al quadro vanno aggiunte una ricostruzione d’epoca di gran pregio (con pennellate rapide e incisive sulla vita degli emigrati italiani negli USA) e una gustosa collezione di canzoni della tradizione partenopea. Naturalmente, spicca su tutto la forza carismatica istintiva di Adriano Celentano, qui alle prese con la difficile prova dell’accento e del fraseggio napoletani, capace di calarsi con convinzione in un film dalla complessa tessitura. Lo affianca, luminosissima, Claudia Mori. Menzione d’onore a Lino Toffolo, nel personaggio comico dell’anarchico dinamitardo puntualmente arrestato.
Alla fine dell’Ottocento, Peppino (travestito da donna per sfuggire alla leva) si imbarca da Napoli alla volta di New York. Sulla nave conosce la cantante Rosita, che grazie alla protezione del boss mafioso don Nicolone è destinata alle luci del cabaret. In America, Peppino si mette invano alla ricerca del padre, che da vent’anni non dà più sue notizie. Dopo svariati mestieri, il ragazzo entra nella banda di don Nicolone e finisce per diventare suo braccio destro. E qua cominciano i guai veri. Riuscirà a tornare in patria sano e salvo in compagnia dell’amata Rosita.