Un film pregevolmente lunatico per mano di uno dei registi più ingiustamente sottovalutati della commedia italiana
Vitti, Dorelli, Pozzetto: un trittico di campioni per ridere meglio
Flavio Mogherini è una figura troppo spesso sottovalutata. Il suo cinema (citiamo almeno l’originalissimo Anche se volessi lavorare, che faccio?) si distingue per la cura dei particolari visivi (“cesellatore di immagini”, lo definiva Tullio Kezich), la fantasiosa rielaborazione degli spazi (non dimentichiamo che Mogherini è stato anche un eccellente scenografo), un tocco garbato poco avvezzo agli scivoloni volgari, un approccio elegante che intensifica gli effetti della sua comicità. Questo trittico valorizza al meglio tre ottimi interpreti della commedia del momento (più la sempre pregevole Catherine Spaak), rispettandone le peculiari doti interpretative: il piglio nevrotico di Monica Vitti, la garbata perplessità di Johnny Dorelli, il rarefatto surrealismo padano di Renato Pozzetto (che con Mogherini aveva già dato vita a un film tutto da rivalutare, Per amare Ofelia). “Album di lepidezze con frange lunatiche”, scriveva Giovanni Grazzini. Uscito come film di Natale, con una qualità che i cinepanettoni dei nostri tempi si sognano la notte.
Film in tre episodi. “Un incontro molto ravvicinato”: Una donna affetta da fallofobia a causa di uno stupro ad opera di sette sherpa guarisce grazie all’intervento di un fantomatico alieno. “Il teorema gregoriano”: un assicuratore mette alla prova la fedeltà della moglie reinventandosi come amante telefonico. “Non si può spiegare, bisogna vederlo”: uno spiantato inseguito dai creditori trova la fortuna quando il suo cavallo vince un importante Gran Premio.