L’amore ai tempi dell’adolescenza in un film capace di cogliere i fermenti di un momento cruciale
Film sentimentale dai toni piacevolmente lievi, che disegna con incisività un mondo giovanile colto in un momento che già lascia intravedere una sete libertaria che di lì a pochissimo sfocerà nel ’68. Non che questo sia un film politico: tutt’altro. Ma la fine degli anni ’60 non fu soltanto, per una generazione di adolescenti, un’esperienza di lotta sulle barricate. Senza rinunciare alla piacevolezza del racconto, l’abile Massimo Franciosa (più noto per le sue numerosissime sceneggiature di pregio, da Poveri ma belli a Rocco e i suoi fratelli) lavora su uno scavo sottile delle psicologie, quasi senza darlo a vedere. La storia dei due giovani innamorati e a prima vista così incompatibili potrebbe essere la stessa di mille altri film: lui ancora impastoiato in un ambiente borghese che lo protegge di comoda bambagia, lei calata in una realtà molto meno accomodante, con una carica dentro che non la farebbe sfigurare tra “le ragazze del Piper” (ogni riferimento biografico a Mita Medici non è affatto casuale). Ma questo è un film stranamente sfuggente, da un lato a proprio agio nella tradizione di un cinema adolescenziale di innocui sentimenti, dall’altro affacciato sull’orlo di un mondo scosso da nuove ebbrezze e nuove inquietudini.
La semplice amicizia tra due liceali si trasforma a poco a poco in amore. Lui è figlio di un industriale e cocco di mamma; lei, che ha perso entrambi i genitori, vive con la zia e ha un carattere spigliato. Dopo essersi mollati, si ritrovano all’esame di maturità. Lui è promosso a pieni voti, lei sonoramente bocciata. Nessuno ha esami da riparare: faranno le vacanze insieme.