La maschera romana di Rugantino, svelto di parole e di coltello, diventa universale
Adriano Celentano si scatena nel canto, nel ballo, nella chiacchiera con sbalorditiva naturalezza
Il personaggio di Rugantino, la maschera popolare romanesca, “er bullo de Trastevere, svelto co’ le parole e cor cortello”, conobbe all’inizio degli anni ’60 uno strepitoso successo internazionale con una commedia musicale della compagnia di Garinei e Giovannini, che tra le altre imprese, registrò tre settimane di tutto esaurito a Broadway. Tra coloro che la scrissero, compare anche Pasquale Festa Campanile che, un decennio più tardi, si prende carico della trasposizione cinematografica. Per il ruolo del protagonista, la scelta ricade su Adriano Celentano, ormai pienamente lanciato nella carriera sul grande schermo e nella costruzione di un personaggio, che fa della sbruffoneria un segno distintivo di carisma. C’è, però, un problema: Celentano avrà tante virtù, ma non può certo fregiarsi del titolo di romano doc. L’ostacolo è superato brillantemente: Celentano si scatena nella chiacchiera, nelle movenze nervose, nel canto e nel ballo con una naturalezza sbalorditiva, dando linfa a un film vivace e colorato. Il pubblico risponde entusiasta, forse anche perché con Celentano il personaggio assume connotati più universali. Attorno a lui, un cast ben assortito che partecipa alla festa (e a quel finale tragico che lascia sempre un po’ straniti): Claudia Mori, Paolo Stoppa, Alvaro Vitali, Pippo Franco…
Nella Roma papalina del XIX secolo, Rugantino desidera ardentemente Rosina, sposata a Gnocco. Riesce a farla sua, approfittando del fatto che Gnocco è spedito in esilio. Ma l’uomo non tarda a farsi accecare dalla gelosia, e torna di nascosto in città per consumare la propria vendetta. Sarà ucciso prima di portate a termine il suo intento. Rugantino, incolpato del delitto, sceglie di salire sul patibolo per dimostrare il suo amore per Rosina e la sua tempra da vero uomo, riscuotendo rispetto universale.