Una commedia di classe e mestiere tra le storture della carta stampata, con leggerezza e sarcasmo
Edwige Fenech non fa la doccia ma ci guadagna un personaggio finalmente solido
Diego Abatantuono irrompe come un ciclone col suo linguaggio da alieno sciroccato
Steno confezione la sua ennesima commedia di classe e di mestiere esplorando con leggerezza sarcastica il mondo del giornalismo. Quello di sinistra, per giunta (i nomi di Eugenio Scalfari e Oriana Fallaci sono chiaramente riconoscibili dietro le storpiature onomastiche): una carta stampata che a proclami si dichiara sempre pronta a dire nient’altro che la verità e a far cadere i governi, ma che, nella realtà dei fatti, è incline al maschilismo e allo scandalismo pruriginoso. In questo contesto, Edwige Fenech si ritaglia un ruolo finalmente tridimensionale: la rappresentante per antonomasia della commedia guardona all’italiana sembra qui ammiccare a se stessa, quando si dichiara stufa di essere considerata solo un corpo e non un cervello. Diego Abatantuono, che la scorrazza in giro col taxi, entra a intervalli regolari come un ciclone, toccando grandi vette con il suo caratteristico argot stralunato. In sostanza, non resta che arrendersi all’evidenza, ammettendo che il maschio contemporaneo sta tutto in quel titolo: sballato, gasato, completamente fuso.
Patrizia ha ambizioni da grande reporter ma il suo giornale la relega alle rubrichette insulse. Sfida il direttore: se entro una settimana non riuscirà a portargli un’inchiesta da prima pagina, andrà a letto con lui. Ma la sorte sembra esserle costantemente avversa, e le sue peregrinazione su un taxi guidato da un tizio strambo si rivelano buchi nell’acqua. Finalmente riuscirà nel suo intento. In quanto alla scommessa, ormai non ha più senso: lei e il direttore si scoprono infatti innamorati.